La pagina di un'agenda del 2024, quella corrispondente al 19 Aprile, coperta di una scrittura fitta e un po' irregolare, diversa da quella solitamente ordinata di Hilde, ma riconoscibile a un occhio attento.
Cameron mi odia.
È convinto che l'abbia usato con chissà quali fini politici.
Non riesco a credere che possa pensare una cosa simile.
Ma probabilmente è colpa mia. Ho cercato di fargli capire quanto questa legge sia ingiusta, e quanto sia nostro dovere parlarne, non nasconderci.
E l'ho fatto nel momento sbagliato. Quando si era assurdamente convinto che avessi pianificato tutto.
E non è bastato che gli abbia assicurato, giurato, che non era così.
Mi ha giudicata e trovata colpevole. Unica prova a carico, l'odio che provo per questa legge e il desiderio di fare qualsiasi cosa per aiutare chi ne viene quotidianamente schiacciato.
Non conta niente il fatto che non consideri colpevole nessuno di loro, il fatto che consideri chi è costretto ad applicare questa legge infame una vittima quanto chi è costretto a subirla.
Ha detto che al mio posto avrebbe fatto la stessa cosa.
Ma avrei dovuto giurargli che no, mai avrei parlato di quanto mi è successo, nell'ambito della mia attività per SHINE? E avrei potuto? Non andrò certo a gridarlo ai quattro venti appena fuori di qui, come lui sembra pensare che avrei fatto. Ma non me la sento tuttora di giurare che non ne parlerò mai e con nessuno. Perché è la mia vita. È qualcosa che mi è capitato senza che lo abbia cercato o desiderato. Ed è sbagliato.
Davvero devo rinunciare anche al poco che di buono potrebbe venire da tutto questo? Lasciare che tutto quello che sto soffrendo sia stato inutile?
Ma questo per lui vuol dire tradire la sua fiducia, il suo affetto, il suo desiderio di sacrificarsi al mio posto.
Non vede le centinaia, forse migliaia di persone che soffrono per gli stessi motivi, senza un Cameron Levy a far loro da scudo. Vede solo Hilde Jenkins, che poteva evitare e non ha evitato, che potrebbe tacere e non vuole. E come lui, solo questo vedono tutti gli altri.
Ma mi fa male vederlo soffrire per questo. E il suo risentimento è mille volte peggio di queste sbarre, di queste mura sempre uguali, di questo tempo che sembra inceppato, che gira su sé stesso senza senso. Persino peggio della riprovazione di quelli che si dicono la mia famiglia, ma non possono aspettare di lasciarmi uscire di qui, prima. Devono interrogarmi, incalzarmi, e accusarmi di ipocrisia e menefreghismo mentre ho addosso un'informe tuta arancione e le manette ai polsi, riesco a lavarmi a stento, non ho voglia di mangiare e credo di aver finito le lacrime, per poi scoprire a tradimento ogni volta di averne ancora.
Me la sono cercata, hanno detto.
No. Ho fatto quello che dovevo. Ho solo detto la verità.
Mesi fa mi è stato chiesto di fare una scelta. O accettare legge così com'è o lasciare la Scuola. Ho scelto di accettarla, e ora?
Non ha senso affermare di attenersi alle leggi quando poi questo vale solo quando non ci sfiorano.
Ma questo sembra aver senso solo per me.
Non so se riuscirò a tornare quella di prima.
Non mi sono mai sentita così sola.